lunedì 8 dicembre 2008

Platone, Apologia di Socrate

Andandomene, però, pensai, "Certo sono più sapiente io di quest'uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio niente, nè di buono nè di bello; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, come non so, neanche credo di sapere, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmno credo di saperlo".

domenica 2 novembre 2008

Alberto Moravia, La disubbidienza

Finiti i preparativi, ella si accostò al letto e, ritta e maestosa, fissandolo negli occhi con gli occhi scintillanti, levò le due mani, si tolse il soprabito dalle spalle e lo depose sopra una seggiola. In questo gesto si chinò da parte rivelando il carattere massiccio e sformato del corpo: i fianchi non tondi ma quadrati, con larghe placche di carne impressa nel velo della camicia; il dorso vasto e spesso; le braccia mature. Ella rimase ferma un momento, come per permettere a Luca di ammirarla a suo agio; poi con un gesto possente di insofferenza, levò le braccia, sfilando per il capo la camicia. Sempre più su, sipario esitante e sbilenco, saliva il velo, a strattoni, scoprendo il suo spettacolo: le gambe grosse ma dritte simili a torri di carne bruna e accesa, il grembo, sola parte schiva e ombrosa tra tante esposte ridondanze; il ventre, traboccante vascello di viscere vogliose; infine il petto stretto tra le due larghe ascelle nel gesto delle braccia alzate come un terreno scuro e collinoso tra due bianche strade deserte. Con un ultimo strappo, insieme lento e pieno di decisione imperiosa, ella si liberò del tutto dalla camicia gettandola in terra; e si presentò nuda a Luca, con la solita aria munifica, promettente, magnanima.

lunedì 18 agosto 2008

Alberto Moravia, La noia

"Ma l'arte diverte chi la fa. Balestrieri si divertiva. Tu ti diverti. Invece la religione è noiosa. Al convento ho sempre avuto l'impressione che le monache si annoiassero, come si annoiano i preti e in generale tutti quelli che si occupano di religione. Nelle chiese la gente si annoia non si sa quanto. Guardali mentre stanno in chiesa, vedrai che non ce n'è uno solo che non si annoi da morire."
Era la prima volta che Cecilia mi parlava della noia; e non potei fare a meno di domandarle, incuriosito: "Ma tu ti annoi?"
"Sì, qualche volta."
"E che provi quando ti annoi?"
"Provo la noia."
"Che cos'è la noia?"
"Come faccio a spiegartelo? La noia è la noia."
Avrei voluto dirle: "La noia è l'interruzione di ogni rapporto. E io voglio sposarti per annoiarmi di te, per non soffrire più, per non amarti più e, insomma, far sì che tu per me non esista più, proprio come per te non esistono la religione e tante altre cose;" ma non ne ebbi il coraggio. Del resto, in maniera improvvisa, ella interruppe il nostro colloquio, alzando una mano e facendomi una carezza sulla guancia.

Patrick Suskind, Il profumo

Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell'umido dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l'apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d'estate sia d'inverno. Infatti nel diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limite all'azione disgregante dei batteri, e così non v'era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo.

Marcela Serrano, Antigua, vita mia

"Ti sbagli, Josefa", mi aveva detto, "Al giorno d'oggi, e ancora di più domani, la ricchezza non si misura più nè in base al potere nè ai soldi. Si misurerà con il metro del tempo."

venerdì 9 maggio 2008

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal

Nulla s'inventa, è vero, che non abbia una qualche radice, più o men profonda, nella realtà; e anche le cose più strane possono esser vere, anzi nessuna fantasia arriva a concepire certe follie, certe inverosimili avventure che si scatenano e scoppiano dal seno tumultuoso della vita; ma pure, come a quanto appare diversa dalle invenzioni che noi possiamo trarne la realtà viva e spirante! Di quante cose sostanziali, minutissime, inimmaginabili ha bisogno la nostra invenzione per ridiventare quella stessa realtà da cui fu tratta, di quante fila che riallccino nel complicatissimo intrico della vita, fila che noi abbiamo recise per farla diventare una cosa a sè!
Or che cos'ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante che voleva e, del resto, doveva forzatamente stare per sè, pur calata nella realtà.

martedì 6 maggio 2008

Stefano Benni, Dottor Niù

Questo libro raccoglie parte dei corsivi che ho scritto per il giornale "la Repubblica". Sono al novantacinque per cento integrali, abbiamo soltanto tagliato qualche riga e tolto alcuni riferimenti di cui si era sbiadita la memoria nello scorrere della storia universale e italiana, ad esempio una pubblicità di gelati e Prodi.

lunedì 14 aprile 2008

Daniel Pennac, Come un romanzo

E ora eccolo, adolescente chiuso nella sua stanza, di fronte a un libro che non legge. Tutta la sua voglia di essere altrove forma tra lui e le pagine aperte uno schermo opaco che confonde le righe. E' seduto davanti alla finestra, con la porta chiusa alle spalle. Pagina 48. Non ha il coraggio di contare le ore passate per arrivare a questa quarantottesima pagina. Il libro ne conta esattamente quattrocentoquarantasei! Se almeno ci fossero dei dialoghi. Figurati! Pagine zeppe di righe compresse fra margini strettissimi, neri paragrafi ammassati gli uni sugli altri, e, qua e là, l'elemosina di un dialogo - due virgolette, come un'oasi, a indicare che un personaggio parla a un altro personaggio. Ma l'altro non gli risponde. Segue un blocco compatto di dodici pagine! Dodice pagine di inchiostro nero! Manca l'aria! Uh, se manca l'aria! Puttana merda! Gli scappa una parolaccia. Spiacente, ma gli scappa una parolaccia. Puttana merda che libro del cazzo! Pagina quarantotto... Se almeno si ricordasse del contenuto delle prime quarantasette pagine! Non osa neanche pensarci e invece, inevitabilmente, glielo chiederanno. E' scesa la notte d'inverno. Dalle profondità della casa sale fino a lui la sigla del telegiornale. C'è ancora una mezz'ora da passare prima della cena. E' straordinariamente compatto, un libro, non si lascia intaccare e d'altronde dicono che faccia fatica a bruciare, il fuoco non riesce a insinuarsi fra le pagine. Mancanza di ossigeno. Tutte riflessioni che lui fa a margine. E i suoi margini sono enormi. E' spesso, è compatto, è denso, è un oggetto contundente, un libro. Pagina quarantotto o centoquarantotto, che differenza fa? Il paesaggio è lo stesso.

martedì 25 marzo 2008

Milan Kundera, Il valzer degli addii

"Me ne fotto di essere in ghingheri, e non sono un pagliaccio in colletto bianco e cravatta, come lei" lo rimbeccò il cameramen.
"Le sue unghie sporche e il suo pullover bucato non sono certo una cosa nuova sotto il sole" disse Bertlef. "Molti secoli fa c'era un filosofo cinico che passeggiava ostentatamente per le vie di Atene con un mantello pieno di buchi affinchè tutti ammirassero la sua indifferenza per le convenzioni. Un giorno Socrate lo incontrò e gli disse: Vedo la vanità attraverso i buchi del tuo mantello. Anche la sua sporcizia, signore, è vanitosa, e la sua vanità è sporca"

domenica 23 marzo 2008

Milan Kundera, Il valzer degli addii

Strinse la mano a Klima e continuò: "In questo paese la gente non apprezza il mattino. Si fanno svegliare di prepotenza da una sveglia che spezza il sonno come un colpo di scure e si abbandonano subito a una fretta funesta. Mi dica lei come può andare una giornata che comincia con un un simile atto di violenza! Cosa può esserne di persone che giornalmente ricevono, per mezzo di una sveglia, un piccolo elettroshock? Ogni giorno che passa si abituano alla violenza e disapprendono il piacere. Mi creda, è il mattino che decide del temperamento di un uomo".

giovedì 20 marzo 2008

Stefano Benni, Baol

Il maitre mi ha esaminato con maitresco disprezzo. Ho fatto finta di niente.
- Che pesce avete? - ho chiesto.
- Tutto quello che vuole - ha risposto freddamente.
- Allora mi porti un piatto misto di mullidi, sgomberomoridi, astici, aragne, aspitriglie, valencenielli, caranghi, cozze, castagnole, caviglioni, maranzane, mazzancolle, moscardini, bocchedibue, scrappioni, lote, suri, zerri, zurli, boghe, salpe, costardelle, donzelle, nigricepi, merlani, occhialoni, sparlotti, gattiruggine, pappasassi, succiascogli, spigole ermafrodite, cernie alessandrine, lofe budegate, palinuri elefanti e ostracodermiestinti.
Mi hanno cacciato fuori. Di questi tempi è duro far gli spiritosi se non si è miliardari. Non importa. Nella mia filosofia l'importante è divertirsi. Sapete, io sono un mago baol.

sabato 15 marzo 2008

Stefano Benni, Terra!

LE CODE ROSSE
"Bisogna fuggire da questa nave," disse il topo che portava il nuovo nome di battaglia di Gas-Gas, "e bisogna fare fuori Yamamoto. Sentiamo le proposte, compagni."
"Anneghiamolo nell'acqua dei sebatoi," disse il topo Talete.
"Apriamo un portello e facciamolo volare in aria, nello spazio," disse Anassimene.
"Bruciamolo con la luce-laser, arrostiamolo nel fuoco," disse un topone scuro.
"Calma, Eraclito," disse dopo il topo Democrito, "Dobbiamo studiare la cosa nei più piccoli particolari."
"Basta che ce ne andiamo di qua, e troviamo un piccolo posto tutto per noi," disse il topo Epicuro, "dove vivere felicemente e giustamente."
"C'è un simile posto?" disse Pirrone, "ed esiste la giustizia?"
"La giustizia," disse amaro il topo Trasimaco, "non è che l'utile dei potenti."
"Non dobbiamo aver paura," disse Zenone, "qualsiasi cosa accada, noi vorremo che accada!"
"Allora d'accordo," disse il topo Gas-Gas. "In nome di Apollo Sminteo e del suo tempio ove veniva adorato il topo albino, si dia il via all'opera di deumanizzazione della nave!"

giovedì 13 marzo 2008

Daniel Pennac, Ecco la storia

Avviso alle autorità che richiedessero la mia testimonianza a un processo in Corte d'Assise, non ho il ricordo facile. La mia memoria colleziona foto sfocate. I miei ricordi più recenti sono ombre; nella mia vita ho riscoperto dieci volte lo stesso quadro nello stesso museo, lo stesso paesaggio dietro la stessa curva, come se non li avessi mai visti; appena vissuti, gli avvenimenti si cancellano dal mio schermo, e così le pagine lette, la maggior parte dei film, i sorsi di buon vino, come se uno scrupoloso oblio badasse a mantenere il mio livello di ignoranza. I volti e i nomi svaniscono troppo presto in me, i miei contemporanei mi lasciano impressioni insieme vaghe e profonde, come tatuaggi fatti con l'inchiostro diluito. I più suscettibili ne soffrono, certo, mi tacciono di indifferenza o di egoismo... Che cosa posso rispondere loro? Che mi aiutino, allora, a ritrovare la mia macchina parcheggiata chissà dove, e che cerchino fra le pieghe del mio cervello il codice dimenticato della mia carta di credito.

Milan Kundera, La lentezza

Si rammenta dei tempi in cui, insieme agli altri muratori, dopo il lavoro andava a fare il bagno in una specie di laghetto dietro il cantiere. A dire il vero, in quel periodo era mille volte più felice di quanto non lo sia oggi in questo castello.

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere.

Capì tutt'a un tratto di trovarsi in una lunga vacanza. Faceva cose delle quali non gli importava nulla, ed era bello. Comprendeva ora la felicità delle persone (per le quali fino a quel momento aveva sempre provato pietà) che svolgevano una professione a cui non erano spinte da nessun En muss sein! interiore e che esse potevano dimenticare non appena smesso il lavoro. Mai prima di allora aveva conosciuto una simile beata indifferenza. Quando al tavolo operatorio qualcosa non andava come lui voleva, si disperava e non riusciva a dormire. Spesso perdeva addirittura gusto per le donne. L'"Es muss sein!" del suo lavoro era come un vampiro che gli succhiava il sangue.