lunedì 14 aprile 2008

Daniel Pennac, Come un romanzo

E ora eccolo, adolescente chiuso nella sua stanza, di fronte a un libro che non legge. Tutta la sua voglia di essere altrove forma tra lui e le pagine aperte uno schermo opaco che confonde le righe. E' seduto davanti alla finestra, con la porta chiusa alle spalle. Pagina 48. Non ha il coraggio di contare le ore passate per arrivare a questa quarantottesima pagina. Il libro ne conta esattamente quattrocentoquarantasei! Se almeno ci fossero dei dialoghi. Figurati! Pagine zeppe di righe compresse fra margini strettissimi, neri paragrafi ammassati gli uni sugli altri, e, qua e là, l'elemosina di un dialogo - due virgolette, come un'oasi, a indicare che un personaggio parla a un altro personaggio. Ma l'altro non gli risponde. Segue un blocco compatto di dodici pagine! Dodice pagine di inchiostro nero! Manca l'aria! Uh, se manca l'aria! Puttana merda! Gli scappa una parolaccia. Spiacente, ma gli scappa una parolaccia. Puttana merda che libro del cazzo! Pagina quarantotto... Se almeno si ricordasse del contenuto delle prime quarantasette pagine! Non osa neanche pensarci e invece, inevitabilmente, glielo chiederanno. E' scesa la notte d'inverno. Dalle profondità della casa sale fino a lui la sigla del telegiornale. C'è ancora una mezz'ora da passare prima della cena. E' straordinariamente compatto, un libro, non si lascia intaccare e d'altronde dicono che faccia fatica a bruciare, il fuoco non riesce a insinuarsi fra le pagine. Mancanza di ossigeno. Tutte riflessioni che lui fa a margine. E i suoi margini sono enormi. E' spesso, è compatto, è denso, è un oggetto contundente, un libro. Pagina quarantotto o centoquarantotto, che differenza fa? Il paesaggio è lo stesso.

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