domenica 2 novembre 2008

Alberto Moravia, La disubbidienza

Finiti i preparativi, ella si accostò al letto e, ritta e maestosa, fissandolo negli occhi con gli occhi scintillanti, levò le due mani, si tolse il soprabito dalle spalle e lo depose sopra una seggiola. In questo gesto si chinò da parte rivelando il carattere massiccio e sformato del corpo: i fianchi non tondi ma quadrati, con larghe placche di carne impressa nel velo della camicia; il dorso vasto e spesso; le braccia mature. Ella rimase ferma un momento, come per permettere a Luca di ammirarla a suo agio; poi con un gesto possente di insofferenza, levò le braccia, sfilando per il capo la camicia. Sempre più su, sipario esitante e sbilenco, saliva il velo, a strattoni, scoprendo il suo spettacolo: le gambe grosse ma dritte simili a torri di carne bruna e accesa, il grembo, sola parte schiva e ombrosa tra tante esposte ridondanze; il ventre, traboccante vascello di viscere vogliose; infine il petto stretto tra le due larghe ascelle nel gesto delle braccia alzate come un terreno scuro e collinoso tra due bianche strade deserte. Con un ultimo strappo, insieme lento e pieno di decisione imperiosa, ella si liberò del tutto dalla camicia gettandola in terra; e si presentò nuda a Luca, con la solita aria munifica, promettente, magnanima.

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